Angèle e Tony (2011)

26.05.2011 06:58

 


Da poco uscita dal carcere, Angèle cerca di riprendere i vecchi legami perduti. Per avere l’affidamento del figlio, nel frattempo lasciato in custodia ai nonni, cerca un contratto di lavoro e un uomo da sposare. Mette un annuncio sul giornale al quale risponde Tony, un marinaio del porto, ma durante il primo incontro i due non riescono a entrare in sintonia. Angèle non si rassegna e continua a insidiarlo: si sistema in una stanza a casa sua e comincia a lavorare anche lei al porto. Piano piano le due anime solitarie troveranno il modo per comprendersi e, forse, amarsi.
Il film di Alix Delaporte ci induce ad ascoltare. La regia strutturata sui movimenti dell’anima impone un patto con lo spettatore: il rivelarsi calmo dei sentimenti richiede a chi sta ad osservare uno sforzo di concentrazione. È il presupposto per assaporare tutti gli sbalzi d’umore dei due protagonisti, raccontati con grazia da un’autrice indagatrice e puntigliosa ma saggiamente discreta.
Il legame tra i due protagonisti nasce e cresce sulla base di continui impulsi istintivi seguiti da rapide riflessioni soggiogate dalla coscienza. Lei è un’arrampicatrice che appare, all’inizio, fredda e priva di emozioni. Lui è un uomo abituato al sacrificio, vive con la madre rimasta vedova da poco e aiuta il fratello a superare il lutto. Tra di loro c’è una distanza che coinvolge la fisicità e le origini. Lì in mezzo bugie e maschere trovano terreno fertile e il sentimento vero si trova costretto ad affrontare rigidità solide e portanti. Mattone dopo mattone cominciano a guardarsi e riescono a vedere la verità delle intenzioni e lentamente la ricerca disperata di una relazione lascia lo spazio al radicarsi di un affetto sentito, fatto di carezze e sorrisi accennati. Dialoghi scarni e timidi movimenti di macchina rimandano al cinema di Rohmer, a quegli incontri casuali dotati di innata eleganza. Angèle et Tony riesce a fare sua la lezione del maestro per poi scegliere una via personale che predilige gli sguardi alle parole. Quasi a sublimare l’importanza degli occhi a scapito della voce.

 

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